Il racconto:
Nell’estate del 2008, vengo a sapere che un mio conoscente, Filippo, ha intenzione in gennaio di andare al suo 5° elefante. A me quella destinazione, che mi sembrava irraggiungibile, è sempre interessata, così comincio a rompergli le palle perché mi accetti come compagno di viaggio. “Vieni pure, mi dice, io vado col mio gruppo di amici, andiamo in tenda e ci dividiamo le cose da portare. Però, come prima volta, accetta il mio consiglio e vai in albergo in qualche paesino lì vicino; già arrivare, magari in un colpo solo, può essere veramente dura. A chi ti dirà che senza tenda non è vero elefante, ecc., digli di provare prima di parlare”.
Mi informo un po’, mi consigliano un noto albergo a Thurmansbang, dove prenoto subito le due notti del venerdì e sabato.
All’epoca, avevo un’altra moto. La sfiga è però in agguato, e pochi giorni prima problemi familiari mi obbligano a rinunciare. E sarà così per altri 4 anni, ogni volta qualche motivo, a volte piacevole, altre meno, mi costringono a rimandare all’anno dopo. Qualcuno comincia a prendermi per il culo (“allora, quest’anno, si va all’elefante??”).
Nell’ottobre 2013 (l’anno scorso) inizio un lavoro presso una azienda dove lavora il mio amico Paolo, guzzista con 3 moto, un California, un Centauro (!) ed un piccolo enduro. Gli dico: andiamo quest’anno all’elefante?
Risposta immediata: “te sei fuori di testa. E poi, delle moto che ho, nessuna è adatta, una è troppo pesante, una troppo rigida, l’altra va troppo piano e si rompe a metà strada”.
Dopo 2 mesi: “sai, ho trovato un vecchio DR600 a poco, se lo compro potremmo andare all’elefante” .
Cominciamo a preparare moto ed accessori vari, ma non abbiamo tempo libero a causa dei vari impegni e due giorni prima dell’ipotetica partenza, la ruota dietro del California di Paolo è ancora nel bagagliaio della sua macchina, e non è ancora riuscito a passare dal gommista per farla cambiare, ed io non sono messo meglio. Ci guardiamo in faccia e decidiamo di rimandare al 2015.
Con un anno di tempo a disposizione, io ho infatti finito di preparare quello che volevo fare sul Griso a mezzanotte del giovedì (partenza venerdì ).
Il giorno prima della partenza, sento Filippo, che quest’anno è al suo 7° elefante (ne ha saltato qualcuno, poi il morbo ha avuto una ricaduta), ed al solito, va in tenda con il suo gruppo. Ci accordiamo per andare a mangiare da loro, prometto di portare un salame ed una bottiglia di grappa. Mi dice: noi partiamo presto per cercare di evitare la neve sul Brennero, il peggio è previsto per le 10 di venerdì mattina. Io e Paolo dovremmo trovarci a Desenzano alle 8 (lui viene da ovest di Milano).
Poi, siccome le cose non possono andare lisce, la notte la bimba sta male, ed aspetto a partire finché non sono sicuro che la situazione sia stabile. Mia moglie insiste perché io parta, e mi dice di non preoccuparmi (sa da quanto lo aspetto). Con Paolo ci incontriamo a Desenzano alle 13, la neve sul Brennero è sicuramente evitata. La bottiglia di grappa nel bagaglio non c’è proprio stata, c’è solo il salame. La notte avrò dormito 3 ore.
Va detto che, almeno a mio avviso, una parte bella di questa avventura sono tutti i preliminari, la preparazione della moto; pensare, procurare o inventarsi tutte le piccole cazzate che si ritiene potranno essere utili – e magari non verranno usate.
Niente di strano, eh: se si compra un GS ed una coppia di catene che, per quella moto, si trovano facilmente, si ha già tutto quello che io ho pensato di mettere sul Griso.
Ma far le cose di testa propria, anche se vengono peggio, ha un suo gusto.
Nel mio caso, ritenevo “assolutamente” da fare:
- Gomme tassellate:
- Qualcosa di sostitutivo alle catene (che sul Griso non ci stanno, c’è troppo poco spazio tra ruota e CARC):
- Faretti anteriori (mi immaginavo di arrivare al buio nelle lande della foresta bavarese):
- Un qualche tipo di navigatore. Da casa mia sono 700 km, e volevo fare un tiro solo; non avevo tempo per sbagliar strada. Monto un supporto per fissare il blackberry sul manubrio, e nel casco ho un fantastico e sottilissimo interfono bluetooth (SMH3) che funziona benissimo (davvero!) e non ha nessuna parte esterna che rovini l’estetica dell’Arai.
- Maglia e guanti riscaldati di nota azienda nel varesotto (l’idea di mettere le moffole sul Griso non mi va), e quindi relativa presa per attaccarli:
Se qualcuno pensa che tutti questi aggeggi siano troppo da fighetti ed un po’ in contraddizione con lo spirito biker, gli do ragione. Ma io avevo solo 3 giorni a disposizione, erano 6 anni che aspettavo e volevo arrivare ad ogni costo, senza rischiare di perdermi o fermarmi per un motivo che non riuscivo neanche ad immaginare.
Dunque alle 13 partiamo da Desenzano, il pranzo si salta. Ci fermiamo solo a far benzina prima di Bolzano (dove il benzinaio burlone mi dice “attenzione che sul Brennero c’è l’obbligo di catene”), il Brennero è pulito e ci fermiamo in uno strano posto (ex dogana?) appena in Austria a prendere le vignette.
Poi Innsbruck, e il lungo e noioso pezzo verso Monaco.
Verso le 17 ci fermiamo a far benzina, manca un po’ a Monaco. Comincia ad imbrunire e a rinfrescarsi; io sarei dell’idea di trovare un posto per la notte, Paolo punta ad arrivare almeno in Germania.
Usciti dalla cassa dell’autogrill, un rumoraccio di Harley (ma a me le Harley piacciono) mi fa voltare. Vado a parlare col tipo, l’è toscano. Ha un vecchio RoadKing su cui ha adattato una coperta della Tucano fissandola sopra il paragambe (mio cugino lo chiama “paravacche”) ed in cui ha ricavato con precisione il foro per far uscire il contakm, che sull’Harley è sul serbatoio. Tutto il resto della moto e della parte inferiore del suo corpo sono lì sotto, in una specie di serra dove, secondo me, ci saranno 40°C. Infatti il tipo, casco jet e seduto più in basso del mio ginocchio, è rilassatissimo: “noi adesso si va avanti un pochino, poi si esce dall’autostrada e si va per paesini. Quando siam stanchi ci si ferma. Si arriva oggi, si arriva domani, va sempre bene.”
La chiacchierata con questo tipo mi mette di buonumore, e comincio a pensare che l’idea di tirar dritto ed arrivare a Thurmansbang di notte potrebbe essere buona. Le strade sono pulite ed asciutte, il freddo è sopportabile, è tutta autostrada.
Fino a Monaco, basta andar dritti. Poi accendo il navigatore e ripartiamo, ma sbaglio qualcosa e non si sente l’audio nelle cuffie, per cui devo interpretare le freccine sullo schermo del cellulare, che, al buio e con i fari delle macchine, non si vede una mazza.
Quando siamo sull’anello autostradale attorno a Monaco è già buio, e nella luce del faro comincio a vedere dei piccoli cosini bianchi. Comincia a nevicare, anche abbastanza. La strada è ancora pulita, è molto “salata”. Rallentiamo, ci teniamo sulla destra; è il momento per accendere i faretti! Paolo, che è davanti, accosta, con un buco nella retina: “o vai davanti tu o li spegni”. Vado davanti.
Non c’è posto da fermarsi, e continua a nevicare. Arriviamo fino sull’autostrada per Deggendorf, 2 corsie senza piazzuole e senza autogrill. Nevica sempre, non possiamo fare 150 km così. All’uscita per la prima città usciamo, qualche km e siamo a Freising. Per terra si sta fermando la neve. Fermo ad un semaforo, chiedo ad un passante per un albergo: “cheap or expensive?” “doesn’t matter”, vedo già il miraggio di una doccia ed una birra.
La scelta dell’albergo è stata buona
La notte, ogni tanto, quando mi sveglio un attimo, nella luce del lampione vedo fiocchi di neve. Mmmhhh…
Ma la mattina c’è il sole, la strada è pulita, l’umore è alle stelle. Autostrada tedesca, se io avessi avuto le gomme “estive” e Paolo fosse col Centauro saremmo arrivati a Deggendorf in mezz’ora.
Filippo ci dice che loro (che hanno dormito nella buca in tenda) smontano a mezzogiorno e partono per tornare, vogliono fermarsi il sabato sera a Rosenheim. Forse facciamo in tempo ad incrociarli.
Dopo Deggendorf, si percorre per un tratto la E56, che si lascia a Eging. Da lì iniziano circa 15 Km di saliscendi in mezzo alle colline, bellissimi e, presumo, impossibili se nevica.
Quando arriviamo a Thurmansbang è l’una, sicuramente Filippo non lo becchiamo più. Andiamo in albergo a scaricare il bagaglio, sento uno che mi chiama: è lui, che è partito dalla buca, e si è fermato lì a mangiare! Come incontrarsi per caso a 700 Km da casa. E’ chiaro che il salame resterà nella borsa.
Da lì alla buca sono 7 Km di stradine. A Solla si prende una stradina chiusa al traffico che costeggia la buca, circa 2 km, sul bordo della quale parcheggiano tutti quelli che non intendono scendere con la moto (noi compresi). All’ingresso della stradina un controllore mi domanda “Fireworks?”. Sorrido e scuoto la testa, ride anche lui: “Dynamite?”. No, non ho nemmeno quella – mi lascia passare.
Poi c’è il famoso striscione, e sotto si paga per l’ingresso
Appena cominciamo a scendere nella buca, ci appare chiaro che la strada per diventare veri elefanti è ancora lunga:
La discesa è veramente scivolosa, ricoperta da un duro e spesso strato di neve ghiacciata, ed i miei stivali da moto non sono il massimo per stare in piedi. Dopo il secondo o terzo brigolo per terra (a piedi!), intanto che penso che sia impossibile scenderci con la moto, vedo un tizio che, su una moto da cross con le catene, sale a velocità notevole, scodando continuamente, e trainando (con una corda legata dietro) un sidecar spento!
Sarà anche (sicuramente) ubriaco, ma una certa quantità di manico non gli manca di sicuro.
Alla vista della scena, Paolo si pronuncia:” voglio provare a scendere anch’io con la moto!”. Solo la quarta culata mi impedisce di tirargli un ceffone per farlo rinsavire.
Proseguiamo a scendere. Il tizio di prima, ora, scende velocissimo, trainando un bob con sopra un altro, che punta i piedi per non andargli addosso. Arrivati giù, devono risalire. Tutta la neve sparata dalla ruota dietro finisce in faccia a quello sul bob, che però sembra divertirsi. Poi volano, si rialzano…