Allora, se posso spendere giusto due parole vorrei dire anch’io la mia.
Non posso procedere per punti per motivi di tempo, ma vorrei semplicemente dire che sono due moto che fanno abbastanza scopa, sia per colore sia per provenienza europea, quasi indoeuropea vorrei dire, ma anche con qualche tratto asiatico (le showa del nostro bestio) che, opportunamente selezionato e settato, non fanno storcere il naso neanche al più integralista dei puristi.
Trovandomi in completo accordo con tutti, il che significa che potrei tranquillamente essere in disaccordo con il popolo, ma soprattutto con me stesso, direi che la scelta dell’affiancamento è stata la più azzeccata e congeniale.
Perdonatemi la convivialità, ma ormai non esistono più le mezze stagioni (e neanche le mezze stazioni), indi ragion per cui abbiamo due esemplari maschi che possono soddisfare le esigenze del quotidiano e del tempo extra lavorativo a seconda delle più disparate condizioni metereologiche, marittime e, perché no, anche delle fasi lunari.
Ora, il Griso lo conosciamo bene più o meno tutti: affascinante, mascolino, made in Mandello, leggendario. Una moto che attira sguardi interessati e fa ancora sognare generazioni di coleotteri. Sempre generoso all’apertura del gas, con una schiena che ricorda i bei tempi andati e fa sperare in un maestoso ritorno dell’Aquila (rigorosamente scritto con la A maiuscola). Una delle ultime vere Guzzi, con uno sguardo a Noale e un’occhiatina a Pontedera, nel cuore della toscana, tra chianti e fiorentina (purtroppo a Noale non c’è un pazzo e infatti fan solo moto e prosecco, credo).
Il Griso, una moto da tenersi stretta come le mutande rosse a capodanno, che fa impazzire tutti i siti di veicoli usati con i suoi prezzi a cazzo e non smetterà mai di farci allineare i corpi farfallati, corpi lasciatemi dire sinuosi e provocanti, la gioia di tutti i meccanici del marchio, che quando non sanno più che cavolo fare se ne escono con un glorioso: allineiamo i corpi farfallati, aspetta che prendo vacuometro, goniometro e preservativi. Una naked, un’antisignana, copiata e riverita, ma, ahimè, con poco successo. Ansi meglio prendere direttamente un cesso. No, tutte le moto sono belle, come ogni scarrafone è bello a mamma sua.
Una moto, il Griso, che dà soddisfazione tra le curve di montagna, tra i cordoli di Varano, nei rettilinei dell’A1. Qualcuno l’ha pure usata in spiaggia e leggende narrano di colpi di sole a suon di cardano che manco Baywatch sarebbe riuscito a prevedere.
Vogliamo parlare del trombone? No, qui rischieremmo la censura e l’esclusione da tutto il modo dell’internet.
Volevo nascere motorino, disse il Griso al suo creatore, ma non era tempo di Galletti o Scarebei.
Volevo nascere offroad, ma non ti preoccupare, gli dissero, faremo una moto bruttissima e la chiameremo Stelvio, come il monte dai mille tornanti che farai sì e no in seconda.
Volevo nascere sport-classic….ma cazzo vuol dire sport-classic?? O sei sport o sei classic. E anche in questo caso, prenderemo un telaio vecchio come Noè, gli metteremo sotto 2 cavalli e lo faremo andare la metà. La chiameremo V7, tanto abbiamo già il marchio registrato.
Volevo rimanere un prototipo, ma non mi è stato concesso, allora ho rivisto tra i miei ricordi, prototipi Guzzi che hanno senso come il Nesquik sulla tagliata, che hanno attirato orde di curiosi da tutto il mondo, ma che dico mondo, saremo arrivati almeno a Busto Arsizio, che dall’alto dei suoi 80mila abitanti ha gridato:”Eh?”
Quindi teniamoci stretto il Griso, se siamo incerti teniamo aperti, licenziamo le poesie e i luoghi comuni, uniamo i comuni e arrotoliamoci sotto la stesa bandiera, dando sempre un occhio ai pirati dei caraibi che sono sempre in agguato con i loro scherzi da prete. Mangiamo e beviamo e incontriamoci all’Aprica.
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Ed è dai pirati dei caraibi, che posso finalmente collegarmi all’immenso William Blake, che non era un poeta, non era un ingegnere: era un delinquente talmente delinquente che è stato mandato dalla Regina d’Inghilterra a fare scorribande per tutti i mari. E qui arriva Triumph, non quello delle mutande, ma questo non potremo mai saperlo.
Un marchio storico anglosassone, una marchio forte, solido, orgoglioso e anche un po’ orgoglione, un po’ come i sostenitori della Brexit o del Maresciallo. Un nome, una garanzia (Trumph, trionfo, non il Maresciallo, the Maresciall). Modelli per tutti gusti e per tutte le età, di cui abbiamo qui nello specifico quello veloce e pistaiolo, anche un po’ da pistola, grazie all’ardito acquisto del nostro fratello Domenico.
Un’accoppiata vincente la sua, un ritorno ai semi-manubri che bramava da tempo e che finalmente, con una accurata illuminazione della sala giochi, ha potuto trasformare in realtà.
Mi sento felice? Prendo il Daytona.
Mi sento triste? Prendo il Griso.
Mi sento un po’ triste e un po’ felice? Vado a mignotte.
Un garage, una garanzia. Una moto, il Daytona, che può far uscire gli istinti più primitivi anche al più blando dei chierichetti, per non parlare di sua Santità. Con quello scarico un po’ così, sobrio ed arrogante allo stesso tempo; con quel cupolino aquilino, sobrio ed elegante al tempo stesso; con tutto quel carbonio a disposizione, elegante e stesso al sobrio stesso.
Un moto nata per essere monoposto, ma omologata per due persone, che potrebbe portare anche un piccolo gattino sul serbatoio. Una livrea che non lascia scampo e una serie di viti in acciaio che fanno illuminare gli occhi da tanto brillano. Un’icona senza tempo, sogno di tanti baldi giovani che alla fine della pubertà non vedono l’ora di lasciare i due tempi…ah, i bei tempi andati! Ma dove sono andati? In una piccola fabbrica nei sobborghi di Londra, di cui non ricordo il nome e che non vado a cercare su Google perché altrimenti perdo il flow.
Il Daytona o la Daytona, poco importa. Ha perso un cilindro per strada, ma chi se ne frega. Fornirà le nuove ed eccezionali Moto2 e vedremo un’evoluzione del suo cuore in giro per il Mondo, a combattere ad armi pari in un campionato dove solo il pilota e la parrocchia la fanno da padrone.
Gomme, sospensioni, elettronica: tutto studiato, sulla Triumph, per esprimere il monello che è in te. Per farti andare oltre i tuoi limiti e farti pensare a quanto è bello far l’amore in riva al mare. Due poilipetti e due ricci di mare che sulle scogliere di Dover si inseguono come giovani innamorati.
Una moto insomma fatta per pedalare, ma non letteralmente. Una moto che, con un fisico così può accompagnare solo. Se fossimo in mezzo a un gregge, lei sarebbe il cane da pastore, pronto a mettere a pecorina il più spavaldo dei Jappo-dotati.
Bisogna sapere che in Inghilterra, sanno sempre quello che fanno, e lo fanno bene, ma bene bene bene. E sono sempre entusiasti di farla da padrone. Sono un popolo fiero e sempre al passo coi tempi! Cannonate alla recessione! Viva la libertà! Meccanicamente all’avanguardia, ma con rispetto e lode verso la tradizione. Sempre pronti ad innovare e a dare una mano.
In questo frangente, io adoro il Daytona, che tra l’altro riprende un nome storico ed eccezionale come il circuito da cui proviene. Un passato glorioso, ricco di fiori e frutti, che possiamo sentire con mano non appena prendiamo in mano l’acceleratore. Una spinta progressiva e progressista, per niente passiva e maschilista. Dolce, come il suono delle parole “Everything is awesome!”.
Da portare con fierezza la Union Jack presente in ogni dove, un marchio indissolubile, che riempe gli occhi e la bocca dei più. Una moto celebrativa, immensa. Un missile terra-terra, pronto a scattare!